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venerdì 15 gennaio 2016

Chef Rubio | Minimo comun denominatore: la passione.

Ore 11.30, intervista telefonica con Chef Rubio
Durante quella telefonata sono stata attraversata da una stranissima sensazione:
mi sembrava di parlare con la tv ; stentavo e stento ancora a credere di aver conversato con “quello di Unti e Bisunti”, lo stesso chef che a Cetara aveva bevuto la colatura di alici manco fosse acqua , lo stesso che a Livorno aveva avuto il coraggio di mangiare l’occhio di un’orata.
Ho cercato, nonostante la saliva bloccata in gola e una balbuzie temporanea, di sembrare il più tranquilla possibile, ma so di aver fallito miseramente.



Gabriele Rubini in arte Chef Rubio, 32 anni dice Wikipedia, di Frascati, col corpo tatuato.
Da due anni , i ritmi frenetici  lo spingono ad una colazione sempre diversa, in relazione al luogo in cui si trova, senza fare tanta distinzione tra il  dolce e il salato.

“Onestamente, purtroppo però, si tratta, ultimamente, sempre di un caffè e biscotteria secca per poi recuperare a metà mattina con qualcosa di più sostanzioso”.


Ha girato il mondo alla scoperta dei sapori con lo zaino in spalla, un mestolo e pochi spicci ed  ha sul curriculum il diploma all’ALMA di Gualtiero Marchesi .
Prima di diventare chef, Gabriele era un rugbista professionista e il piatto che meglio gli ricorda il mondo del rugby e il suo passato da sportivo è l’asado.

“L’asado è un taglio di carne cotto alla griglia tipico argentino. Lo associo al rugby perché ho avuto tanti compagni di squadra argentini e il momento in cui si faceva la brace, si cuoceva la carne, si stava intorno al fuoco era qualcosa di molto bello e sicuramente fraterno.”



Quello tra Rubio e il cibo non è solo lavoro ma è una storia di amore, un approccio materiale che si nota quando mangia a mani nude, senza nessuna mise en place, come se volesse capire anche con il tatto le tradizioni e le materie prime di un piatto.
Un modo di fare del tutto diverso da quello a cui ci hanno abituato gli chef stellati che popolano la TV e il web.
 A suo dire questo modo di spettacolarizzare il lavoro del cuoco non potrà mai distruggere le tradizioni del patrimonio gastronomico perché, senza mezzi termini:


“Alla fine c’è sempre una selezione naturale . Se sei un cuoco capace, la gente ti viene a trovare; se sei un incapace, puoi durare poco e poi capisci che non era quella la tua professione. Di sicuro ci sono poche persone in giro che lo fanno con amore e tanti che lo fanno per business”


Ci vuole dedizione per affrontare la vita e realizzare il proprio sogno, che sia il rugby o la cucina e questo Chef Rubio lo sa bene:

“Tutti possono cucinare, non tutti possono cucinare ad alto livello. Ma se si mette il cuore e la passione prima di tutto il resto, sicuramente poi c’è  tempo per studiare e fare esperienze.”